Il giornalismo è uno ma con infinite sfumature. Il giornalismo è antico, eppure, ci sono porte aperte sulla professione che se le attraversi entri in stanze in cui il giornalismo come lo hai studiato è solo evocato perché tutto è diverso. Il web journalism, il social journalism sono lontanissimi dal giornalismo delle prime agenzie di stampa. Come lo è il giornalismo televisivo dalla stampa o dalla comunicazione degli uffici stampa istituzionali o di brand. E se qualcuno ha aperto la strada anche al brand journalism vuol dire che anche questa è una stanza che merita di essere riconosciuta ed esplorata.
L’argomento non è nuovo, ma è protagonista di un libro recente pubblicato da Franco Angeli, Brand journalism – l’azienda fa notizia di Mariagrazia Villa. Nella prefazione il giornalista dell’Unità Giovanni Rossi scrive che “questo libro è una provocazione”, ma probabilmente una provocazione che sarà superata nel tempo. Resterà sempre chi non amerà questa stanza del giornalismo. Ma è un dato di fatto che il giornalismo ha aperto la porta ai brand ed è utile che, oltre ai tantissimi articoli che si trovano online, si scrivano anche dei libri su cui studiare questo ramo professionale.
Per i crediti professionali ho seguito online il corso Le nuove fonti di Mario Tedeschini Lalli il quale per tirare le somme su che cos’è il giornalismo oggi ha fatto ricorso al metodo scientifico.
Oltre a consigliare il corso per i crediti professionali, una delle cose che mi ha “illuminato” è il punto fermo che Tedeschini pone sul metodo di lavoro che fa di un comunicatore un giornalista e questo è IL metodo giornalistico, con le sue precise e rigorose regole. Rigorose non vuol dire scolpite nella pietra, possono mutare, adeguarsi, con una sorta di resilienza che ormai appartiene a tutti umani, animali, regno vegetale, minerale e anche concettuale.
“Il giornalismo non è più ciò che scrivono i giornali oppure ciò che scrivono i giornalisti, non è cioè più definito dal canale utilizzato o dal soggetto che lo produce, possiamo però dire che il giornalismo è definito dal suo metodo”.
Se scienza sono le informazioni che derivano dall’applicazione di un metodo, ovvero il metodo scientifico: “Per definizione scienza è solo ciò che si ottiene applicando il metodo scientifico” dice Tedeschini,
“Analogamente propongo che il giornalismo è l’informazione prodotta con il metodo giornalistico”.
Ho fatto mia questa idea e ho pensato, infatti, che se applico il metodo giornalistico nei diversi ambiti in cui esercito la professione giornalistica, indipendentemente dal mezzo, io sto facendo giornalismo.
Questo può vuol dire che nel giornalismo d’impresa il giornalista applica il metodo giornalistico al modo in cui viene raccontata l’azienda. Nelle redazioni ci si chiede spesso quale sia il punto di demarcazione tra il contenuto editoriale e quello pubblicitario. È sempre più difficile tenere la linea ben definita, in un pezzo di moda dedicato al prodotto di un solo brand (esempio un paio di calze Gucci), usare qualche aggettivo in più e un linguaggio entusiastico ti fa scivolare nel contenuto pubblicitario, pur non essendolo formalmente. L’uso di un linguaggio più neutro, tipico del giornalismo, “salva” il contenuto dalla pubblicità.
Questo chiaramente è un modo semplicistico di riportare un esempio, tuttavia, usare il metodo giornalistico per creare un contenuto ti allontana dalla marketta. Ecco perché il brand journalism può esistere se l’obiettivo è informare e non entusiasmare il lettore, l’utente, lo spettatore su un brand. L’impresa racconta una storia, fa informazioni facendo ricorso al metodo giornalistico. E questo metodo s’impara solo nei giornali o nelle scuole di giornalismo o se a insegnartelo è un giornalista o un docente di giornalismo. È anche una questione di sensibilità non varcare quella soglia tra contenuto informativo verso un contenuto pubblicitario, che affini con la pratica del giornalismo. Il giornalismo racconta la verità sostanziale dei fatti che non ha bisogno di aggettivi. Solo che questa capacità, questo metodo giornalistico lo applica solo chi lo impara, chi lo ha affinato, il giornalista appunto.
Prima di inquadrate bene il brand journalism, ho cercato gli esempi pratici di questo lavoro: dove potevo vedere il giornalismo d’impresa nella sua forma più concreta?
I tanti articoli che ho trovato citano l’inizio del brand journalism e quindi il suo primo esempio riuscito in Mc Donald’s, che nel 2003 riuscì a riprendersi da una crisi e da una comunicazione inefficace concentrandosi su una comunicazione basata sulle notizie e sui contenuti di valore per i clienti. Altro esempio spesso riportato è il magazine Coca Cola Jouney, ma anche Red Bull ha un intrapreso un percorso editoriale con la Red Bull Tv e ci saranno tanti esempi di comunicazione di questo tipo che finora non sono state messe sotto il cappello di brand journalism, ma che lo sono.
Un altro esempio che mi viene in mente è Lifewear il magazine che Uniqlo distribuisce anche negli store. Ma questi sono solo la punta dell’iceberg perché se pensiamo che tante realtà (per esempio nel mondo della beauty) hanno scelto di aprire blog, siti e profili social in cui si fa anche “informazione” di una certa utilità che fa conoscere il brand alle clienti, ma insegna anche il dietro le quinte della bellezza con un approccio editoriale che utilizza la cassetta degli attrezzi del giornalista, il brand journalism è molto più diffuso di quanto si creda.
Anche il libro di Mariagrazia Villa all’inizio pone la questione come un’unione matrimoniale, segno che ci devono essere regole chiare, che sia una sorta di contratto, ma non un semplice contratto come quello che c’è tra datore e dipendente, tra proprietario e affittuario. No, è un contratto più solenne. Rispetto e trasparenza sono due elementi fondamentali del patto tra lettore e giornalista. Ancora una volta è l’etica che ci aiuta a fare un buon lavoro. L’etica ti fa applicare al meglio il metodo giornalistico che tu sia dentro o fuori una redazione, che sia freelance o chiamato a comunicare un brand.