Il web pagherà gli editori per le loro notizie. Questo è l’assunto di base della vicenda Google e Facebook che sta facendo il giro del mondo dall’Australia alla Francia, ma si parla di un traguardo vicino anche in Italia. È stato trovato il modo perché giornali e web collaborino con un certo equilibrio di potere o, almeno, ci provino.
È ancora presto per trarre conclusioni, e soprattutto per cantar vittoria da parte degli editori. Se Google e Facebook pagheranno per l’uso degli articoli non è una vittoria del diritto a informare, ma un traguardo dell’editoria che fatica a guadagnare. Soprattutto sul web.
Google News Showcase, lo spazio per gli editori
“Tutto ruoterà attorno a Google News Showcase, prodotto che ora riguarda oltre 500 pubblicazioni a livello globale in una dozzina di paesi tra cui Germania, Brasile, Canada, Francia, Giappone, Uk e Argentina. Saranno i singoli editori a scegliere le storie da presentare nel pannello vetrina. E Google pagherà a monte per questa produzione”. Sole 24 ore del 19 febbraio 2021.
“Si tratta di una sorta di edicola digitale, una vetrina per il giornalismo di qualità in cui gli editori potranno dare valore, anche economico, ai loro contenuti online. Nella pratica si traduce in una serie di pannelli contenenti articoli personalizzabili dalle stesse testate con contenuti multimediali e link”. Corriere della Sera del 19 febbraio 2021.
Dopo qualche giorno di incertezza, anche per Facebook si è trovata l’intesa. Il social aveva oscurato gli editori in Australia, un’azione considerata ostile nei confronti della richiesta di pagamento. In pratica anche Facebook si impegna a “sostenere economicamente” – perché di questo si tratta in nome del copyright – i giornali facendo accordi individuali.
Gli editori si fanno pagare, ma la trasparenza resta una questione marginale quando sarebbe fondamentale. Al web conviene più pagare che essere trasparenti? La collaborazione viene da qui: da una migliore condivisione dei meccanismi interni, per quanto non del tutto esplicitati. Perchè sono questi meccanismi che pongono in una situazione dominante Google e Facebook. E gli editori invece di farsi pagare perché mister G. e mister F. continuino ad usare quelle leve a piacimento dovrebbero collaborare in un sistema “informazione”.
Internet non è solo veicolo di informazioni per i media tradizionali, è generatore di informazioni. Sul social sono nate altre forme di creazione di contenuti informativi che non chiedono di farsi pagare. Anyway, se i colossi sono disposti a pagare vuol dire che ci guadagnano o che comunque hanno scelto la via meno vincolante.
Nella legge australiana si parla tuttavia di un impegno maggiore per la trasparenza degli algoritmi e tempestività sui suoi cambiamenti.
Il web pagherà gli editori
La questione in un modo sensato l’ha delineata il Post in questa newsletter, partendo dalla narrazione parziale e sbagliata che ne è stata data: “giornali buoni e internet cattiva”. Non è proprio così infatti. Perché le aziende editoriali sono aziende e quindi per quale motivo devono essere agevolate rispetto a chi produce e vende altri prodotti?
L’editoria è in crisi (da anni) e come tutte le persone in crisi, che faticano ad affrontare la propria situazione, addossa la responsabilità (e la soluzione?) agli altri. Quindi il web pagherà gli editori.
Non è bella l’idea di un’editoria assistenzialista, che chiede i soldi allo stato perché l’informazione è un diritto fondamentale dei cittadini o che obbliga internet a pagare. L’editoria è un’impresa e come tale deve funzionare. Offre un prodotto immateriale speciale perché l’informazione è sì anche un diritto e dovere per cui non può prescindere dall’etica.
Ma allora, in un mondo ideale, l’editoria dovrebbe essere un settore che regge e che con lo stato e con il web crea accordi di valore aggiunto, di miglioramento. Un conto è fare degli accordi win win come stanno provando a fare (un po’ coercitivamente), un conto è l’obbligo in nome di un copyright il cui diritto va riguardato in generale. Perché internet ha scoperchiato l’abitudine e la considerazione che cittadini, utenti, lettori hanno del genio e del lavoro intellettuale altrui di cui crediamo di poterci appropriare. Ma qui si apre un altro capitolo.
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