La gioia collettiva è l’emozione che oggi ci manca. Era il 2015 quando scrivevo per Cosmopolitan un pezzo dal titolo “Il buonumore è virale“. Sei anni dopo, nel 2021, The New York Times pubblica un bellissimo articolo dal titolo “There’s a Specific Kind of Joy We’ve Been Missing“. Cos’ha in comune il mio pezzo con l’articolo del NYT? Un importante, fondamentale concetto che la pandemia ha portato in primo piano: la felicità di cui abbiamo bisogno è quella condivisa.
Le emozioni, e quindi anche la gioia, si trasmettono per contagio (sembra brutta da usare questa parola ma è così). Le emozioni sono virali, ovvero, ce le passiamo tra di noi. Siano esse entusiastiche come la felicità o segni di qualcosa come la paura e la rabbia.
“La maggior parte delle persone considera le emozioni come esistenti principalmente o addirittura esclusivamente nella loro testa. Ma la realtà è che le emozioni sono intrinsecamente sociali: Sono intessute nelle nostre interazioni”, scrive Adam Grant, psicologo organizzativo a Wharton che si occupa di motivazione e significato della vita quotidiana.
L’articolo del NYT spiega che secondo uno studio le persone ridono 5 volte di più insieme agli altri, questo non vuol dire che non si possa ridere da soli, o gioire da soli, ma la possibilità di vivere emozioni positive è maggiore se sono condivise.
E cita l’effervescenza collettiva, un concetto come spiega Grant, espresso per la prima volta nel XX secolo dal sociologo Émile Durkheim. L’effervescenza collettiva è la sincronia sperimentata quando si vivono eventi collettivi come per esempio un concerto, un incontro di brainstorming tra colleghi o un evento familiare.
Prima del Covid l’effervescenza collettiva era sperimentata molto più frequentemente, almeno una volta a settimana (e spesso anche di più). Con il covid la condivisione di gioia è diminuita per dare spazio alla condivisione di altre emozioni, salutari per certi aspetti, come la paura che ci ha messo in guardia dal contagio, ma faticose da gestire.
Siamo stati invasi da una fatica collettiva, dalla tristezza della pandemia e persino da uno stress da zoom e video call.
Non abbiamo smesso di provare emozioni collettive, non abbiamo smesso di “passarci” le emozioni, di condividerle. In un anno e mezzo abbiamo condiviso più frequentemente emozioni utili alla nostra sopravvivenza, la paura appunto, e meno gioia. Più tristezza della perdita che felicità.
Perseguire la felicità individualmente è possibile, ma ci porta anche a maggiore solitudine. Perseguire la felicità collettiva, invece, aumenta la probabilità di sperimentare benessere proprio e degli altri.
Mi torna in mente l’hashtag #3cosebelle usato per condividere sui social le cose belle che vi succedono nella giornata. L’ho citato 6 anni fa nel mio pezzo di Cosmo, ma lo ha lanciato @fraintesa, una travel blogger che oggi non c’è più a cui va il merito di aver condiviso con la sua community, e non solo, tantissime emozioni, oltre che messaggi importanti come la prevenzione dal tumore al seno. Di certo ha condiviso tantissima felicità.
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