Creare fiducia, non lottare per avere attenzione: se ti interessano i temi del giornalismo, questo articolo è una riflessione sul tema dell’incontro “Il tempo del lettore” del 13 novembre al Festival del giornalismo digitale di Varese.
La centralità dell’informazione non è catturare l’attenzione delle persone con titoloni e clickbait, ma costruire la fiducia della sua community.
Quello che hai appena letto è un’espressione d’intenti, è il perché dovresti continuare a leggermi, per ricordare come il compito di chi fa informazione sia chiedere alle persone fiducia. Di findarsi di ciò che gli stiamo offrendo in cambio del suo tempo.
Il panel sul Tempo del lettore condotto da Federico Badaloni, capo dell’area di User Experience Design Gedi, e Annalisa Monfreda, direttrice di Donna Moderna, mi ha portato a riflettere sulla costruzione della community che, in fondo, da sempre tiene in vita i giornali, aka in tempi moderni i brand.
Bisogna costruire il contenuto e il contenitore tenendo conto del tempo dell’uno e dell’altro, ma soprattutto del tempo della community che si forma attorno.
Una community non può essere costruita cercando di attrarre la sua attenzione, momentanea, ma costruendo un legame di fiducia, molto più solido e lungo nel tempo, che va programmato mattone dopo mattone.
Perché una persona deve dare la cosa che ha di più prezioso, ovvero il suo tempo? Non semplicemente perché il brand urla di più nel sovraffollamento dell’informazione, ma perché ottiene la sua fiducia, appunto.
Ogni contenuto dovrebbe esplicitare perché una persona deve dare il suo tempo. È un impegno dichiarato a non sprecarlo.
Fiducia, compresenza, connessione: i pilastri per costruire informazione
Il contenitore deve anche rappresentare la compresenza, aggiunge Badaloni. La community è una compresenza che vuol dire presenza fisica o digitale. Il modello di business del giornalismo è questo. La fiducia nel brand è il motivo per cui mi abbono, per cui ritorno e compro di nuovo.
Siamo stati bravi a creare contenuti per avere l’attenzione, siamo altrettanto bravi a crearli per avere la fiducia?
Perché dovremmo pensare di conquistare il tempo passivo delle persone? Invece, la connessione con il nostro brand deve essere una scelta attiva.
L’abbonamento sembra il passato, in realtà è il futuro. Quasi sempre non è abbastanza per sostenere i brand dell’informazione. L’esempio citato è il Post che chiede ai lettori di fidarsi dei contenuti che è in grado di offrire a fronte di un pagamento. Il mix abbonamento, pubblicità è quello che per ora sta funzionando di più, ma non va dato per scontato.
Occorre costruire la connessione tra le persone e l’informazione. Il ponte tra abbonato e contenuto, creare bonding ed esporsi, anche con un manifesto che vincola, che genera critiche, ma dichiara esplicitamente alla community il tipo di contenuto con il quale interagisce.
La costruzione della fiducia che si tramunta in abbonamento si crea con la compresenza e con la compliscità.
Il paragone che mi viene è con le piattaforme di video on demand: scegliere di abbonarmi a un servizio d’informazione, non è oggi tanto diverso dallo scegliere di abbonarmi a un servizio di intrattenimento.
Cambiano contenitore e contenuto, ma non la sostanza: il concetto di community che accetta di pagare perché il suo tempo abbia un ritorno di valore.
Una persona si abbona perché il brand gli dia informazione, si abbona per sostenerne anche valori. In questo senso, l’informazione si fa insieme: non ti sto dando solo il mio tempo, ma anche i miei soldi perché tu compia delle azioni. Delego te perché tu possa darmi ciò per cui do tempo e denaro, e contemporaneamente divento parte di una comunità in cui riconosco qualcosa di valore.
Ma c’è anche qualcosa di molto prezioso che resta in questa relazione di fiducia, ovvero la memoria. C’è questa frase molto bella di Badaloni che ne racchiude il senso: “Il giornalista è un progettista della memoria del lettore, perché lascia un’impronta affinché possa ricordare”.
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