Come raccontavano la guerra gli inviati di cento anni fa? E come raccontavano le guerre dell’Africa? “Dai nostri inviati al fronte – Cent’anni di cronache dall’Africa orientale tra Adua e le ultime guerre” (Sugarco Edizioni) è un libro che svela un mestiere specifico, l’inviato di guerra e più precisamente delle guerre africane. Perché proprio quelle e non altre? Perché sono in qualche modo legate con il filo storico al nostro paese.
L’autore, Fabio Fattore, è giornalista del Messaggero che conosce l’Africa, che conosce la cronaca, che da sempre si dedica alla figura dell’inviato di guerra. I personaggi di cui racconta sono colleghi trasportati lungo un ampio arco temporale in Africa orientale. Lì, per scelta o per dovere, ci sono andati per essere testimoni di quanto avveniva. Lo facevano anche quando la libertà di stampa non c’era. E per capire meglio i loro scritti, l’autore è andato in quei luoghi a ripercorrere parte di quelle cronache.
Storia di un giornalismo (stra)ordinario
C’è un po’ di storia del giornalismo e c’è soprattutto il racconto di un mestiere antico, di cui sarebbe un peccato perdere la memoria. Perché se oggi navighiamo senza bussola tra gli algoritmi delle piattaforme online, un tempo c’erano gli “esploratori” con pochi strumenti per cercare storie, raccontarle e portarle alla luce. Ma non c’è un effetto nostalgia, c’è la voglia di dare spazio agli inviati, alla loro passione e professionalità per ricordare il ruolo fondamentale e difficile del corrispondente di guerra.
C’è una definizione molto bella che ho letto a proposito di Guelfo Civinini del Corriere della Sera, ovvero “redattore viaggiante”. Civinini non era solo un giornalista, era esploratore e documentarista che si mise in testa caparbiamente di trovare in Africa la sepoltura dell’esploratore Vittorio Bottego, e lui come gli altri aveva scoperto la bellezza del viaggiare in Africa: “è bello vagabondare alla zingara, padroni assoluti e capricciosi delle nostre giornate”.
I grandi nomi del giornalismo italiano tra gli inviati di guerra
Oltre a ricordare nomi importanti Dino Buzzati, Indro Montanelli, Orio Vergani, Ilaria Alpi, si entra in un punto specifico del lavoro di ciascuno di questi corrispondenti e inviati in Africa che hanno fatto il Giornalismo nel momento in cui sono lì, in Africa a fare il loro mestiere e, mentre lo fanno, non pensano di fare qualcosa che resta nella storia, ma qualcosa di giusto: raccontare, informare.
C’è un ordine cronologico che si può seguire, che va dal diario di Carolippo Giarelli nel 1896 fino agli eventi drammatici più vicini come la battaglia di Mogadiscio del 1993 sotto l’operazione delle Nazioni Unite raccontate dai tanti corrispondenti presenti, una pluralità di voci che va dalla Rai a L’Unità.
Bisogna arrivarci alla fine un racconto per volta, non necessariamente con la sequenza proposta dall’autore: puoi andare avanti e tornare indietro, leggere nel mezzo, però l’ultima, quella di Salomon, del guerrigliero camionista e guida in Eritrea resta una bella chiusa. Immagini quella terra dal caldo soffocante che quasi non ammazza l’autore, e quelle strade, quell’uomo che guida con una pessima musica in sottofondo in memoria del figlio guerrigliero di cui sono rimaste solo le vecchie musicassette, ma questo lo capisci solo alla fine. Appunto.
Chi sogna ancora di fare l’inviato speciale?
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