Fonte preziosissima di dati, il Digital Reuters Report 2023 che ogni anno indaga sullo stato di salute dell’informazione in tutto il mondo offre una miriade di spunti e, a volte, delle sorprese.
Utenti che evitano le news, l’informazione che ha perso appeal: il quadro dipinto dal Report annuale che è stato diffuso nelle ultime settimane non è positivo. Rispetto a un anno fa c’è stato un calo d’interesse verso le news o, meglio, un desiderio diffuso e generalizzato di evitare le notizie perché stanchi, pressati e stressati da eventi come la pandemia, la guerra in Ucraina e la crisi climatica. Tre temi che di per sé riempirebbero (e hanno riempito) pagine, feed e schermi, ma che gli utenti dagli Stati Uniti all’Australia, passando per l’Africa, con percentuali diverse, hanno deciso che non vogliono più vedere.
Siamo diventati selettivi (ma anche sfiduciati nei confronti dell’informazione)
Sembra un quadro davvero mutato quello dei media e in particolare delle news. Da un lato gli abbonamenti reggono in paesi più ricchi come Stati Uniti, Regno Unito e Germania, dall’altro c’è meno fiducia nei media e nei giornalisti, a vantaggio degli influencer e dei personaggi dei social. E, nonostante siamo critici nei confronti degli algoritmi e non sia irrilevante la percentuale di chi li abbandona, la nostra dipendenza dai social network aumenta. Non più tanto nei confronti di Facebook quanto di Youtube e TikTok. Anche se, a dire il vero, il video piace di più quando si tratta di consumare intrattenimento, mentre, secondo il Report gli utenti continuano a preferire la lettura al video per informarsi. Perché consente un maggiore controllo nella fruizione. Nella fascia d’età più giovane (18-24), tuttavia, l’informazione si sceglie sempre di più su TikTok.
Il podcast regge (e cresce)
Stiamo parlando pur sempre di percentuali più piccole rispetto alla fruizione degli articoli o dei video. Circa un terzo degli intervistati, 34%, accede mensilmente ai podcast, e riscuotono grande successo quelli di news come il Daily del New York Times. Il Report indaga la situazione di 46 paesi compresa l’Italia, ma per il podcast gli Stati Uniti fanno sempre da punto di riferimento: il 5% paga per ascoltare un podcaster o uno youtuber.
Ma l’8% paga per seguire le newsletter degli influencer.
Il pubblico sui social network si è frammentato
E arriviamo a una delle evidenze sulle quali riflettere rispetto al nostro consumo di notizie totalmente modificato dai social. Il rapporto tra editori di notizie, lettori e i social è complesso e lo è ancora di più se il pubblico non è più su un solo social come accadeva nei tempi d’oro di Facebook (una decina di anni fa). I più giovani sono migrati su Instagram, poi su Snapchat (anche se da noi poco usato) e ora TikTok. Per non parlare della notizia più recente che Twitter permetterebbe a chi compra la spunta blu di leggere più tweet di un account non a pagamento, costringendo a comprare la spunta per leggere di più. Il mondo dei social sta frammentando la nostra dieta mediatica, offrendo una profondità sulla notizia limitata dal mezzo. I social sono il primo media d’informazione della mattina, superando la tv. Ma, condizionati dagli algoritmi, dalla disponibilità di spazio e dalla velocità del mezzo, la panoramica che ci offre sui temi d’attualità resta comunque parcellizzata. È così che oggi ci informiamo, anzi ci siamo abituati ad informarci: a piccoli bocconi sui social.
Diverse news per ogni social
La frammentazione operata dai social avviene quindi su più livelli: 1) una news non la leggiamo tutta intera su un sito o un account ma tagliuzzata su più post che scorrono nel feed, servita in ordine dall’algoritmo. 2) per ogni fascia d’età del pubblico c’è un social di riferimento. 3) Scegliamo il social anche in base all’informazione che vogliamo, così Twitter viene usato principalmente per leggere notizie di politica, mentre Facebook, Instagram e Youtube vengono privilegiato per le news di intrattenimento. La sorpresa è ancora una volta TikTok, usato dai giovanissimi per fare politica e attivismo ed è stato scelto in Perù per far partire la protesta degli studenti, così come lo preferiscono per fare attivismo, secondo il Digital Report di Reuters, gli studenti di Kenya e Brasile.
Foto in apertura Myznik Egor unsplash