I canali nati sui social e app sono il nuovo metodo di distribuzione delle news? Dopo Instagram, da qualche settimana i canali sono arrivati anche su WhatsApp come nuovo spazio per editori e content creator, ma anche per noi. Se è vero che WhatsApp aprirà la funzione a tutti.
Questa nuova possibilità di condivisione di articoli e contenuti è forse il modo con il quale soprattutto gli editori possono sopperire al calo di traffico generato da Facebook che ormai dallo scorso anno ha manifestato il suo “disinteresse” a spingere le news.
Il calo del traffico causato da Facebook per le testate internazionali
Dall’agosto 2022 all’agosto 2023, secondo quando riportato da questo articolo di Digiday, i referral per molti siti è calato in modo considerevole. Per The New York Times e CNN del 65%, e ben del 79% per The Guardian. Che non potesse essere una fonte di traffico a vita era immaginabile, come lo è il traffico organico di Google. Il loro ruolo da intermediari complica il rapporto, un tempo diretto, con il pubblico finale condizionandone la scelta attraverso gli algoritmi. E il rapporto tra editori e ODTT è da tempo un tiro alla fune che vuole dimostrare chi è più autorevole.
In questo contesto entrano in gioco i canali, strumenti creati comunque dagli stessi intermediari di cui sopra. I canali sono tools a metà tra community e broadcaster dove si crea una base di lettori o utenti fedeli e fidelizzati, ma la comunicazione è univoca come appunto lo sono le emittenti radio e tv. Attraverso i canali i giornali, i creator, le media company trasmettono i loro contenuti: post, articoli che portano al sito, sondaggi, video esclusivi solo per gli iscritti e vocal dal sapore confidenziale.
Dopo quelli di Instagram, sono arrivati anche i canali di WhatsApp per ora possibili solo come utenti business. Va da sé che i canali non sono uno strumento solo per gli editori e i creatori ma anche per le aziende. Rimanendo in ambito editoriale, tra i canali più seguiti oltre al The New York Times, in Italia TgCom24 ha raggiunto in poco tempo un milione di iscritti. In confronto i 28 mila (per ora) iscritti del Corriere della Sera sono poca cosa. Ma i canali di WhatsApp sono strumenti destinati a crescere, e soprattutto sono utilissimi per il traffico dei siti perché sono usati soprattutto per condividere gli articoli.
I canali utili soprattutto in occasione di eventi
Io, però, da quando sono entrati nella nostra dieta mediatica a complicare o semplificare (dipende dal vostro punto di vista) le modalità con cui ci informiamo, li ho trovati utili in un paio di occasioni: durante la fashion week (Instagram) e ancora di più per i recenti fatti della Striscia di Gaza (WhatsApp). In particolare, durante la Milano Fashion Week le notifiche dei magazine di moda che mi aggiornavano su trend e sfilate le ho trovate comode per tenermi aggiornata in un fitto calendario dove rischiavo di perdermi, mentre dei canali WhatsApp sto apprezzando la rapidità con cui riesco ad aggiornarmi sulla situazione in Medio Oriente. In entrambi i casi, però, è fondamentale fare una selezione davvero stretta di chi seguire per evitare la sovrainformazione. E l’effetto contrario, ovvero il fastidio delle troppe notifiche.
L’inarrestabile ibridazione dei social
Instagram e WhatsApp non si sono inventati nulla visto che quello dei canali era uno strumento di Telegram. I social si stanno ibridando sempre di più per catturare l’attenzione delle persone. Lo abbiamo visto con Instagram che con Snapchat prima e TikTok dopo è diventato qualcosa di molto diverso dal suo esordio, come ha fatto anche Facebook. Con l’ibridazione i social perdono la peculiarità per cui sono nati, diventano simili. A distinguerli non è una specificità del social, ma la generazione che lo usa. In una divisione un po’ grossolana: TikTok per la Gen Z, Instagram per i Millennials, Facebook per i Boomer. Forse, quello più trasversale è proprio WhatsApp che non abdica alla sua specificità: ovvero mandare messaggi. Vedremo se i canali ne aumenteranno l’utilità.
Foto di The New York Public Library su Unsplash