
O la usi o resti indietro, l’intelligenza artificiale soprattutto in alcuni ambiti professionali è entrata in modo prepotente nella produttività. Da quando è comparso Gemini a riassumere la ricerca prima della serp, da quando ce la siamo ritrovati all’improvviso in Meta e Apple ci conviviamo: la usiamo per cercare ricette, generare immagini, scrivere email, organizzare testi. Sempre più spesso, senza nemmeno rendercene conto. Ma siamo davvero consapevoli di come sta cambiando il nostro modo di lavorare, creare e pensare?
Il confronto con gli studenti dell’Università di Lugano a cui ho insegnato un modulo su AI e creatività mi hanno aiutato a vedere un aspetto che è ormai assodato: l’intelligenza artificiale è diventata un’estensione del nostro pensiero operativo e creativo.
ChatGPT è il nuovo motore di ricerca?
Il modello conversazionale – come ChatGPT – è ormai uno strumento comune, tanto quanto un browser o una mail. Viene consultato per scrivere post, creare piani editoriali, proporre idee. Ma non solo: la vera sorpresa è che non è più vissuto come tecnologia, ma come un’interfaccia umana, quasi “viva”, che risponde, ascolta, riformula.
E in questa relazione emergono domande nuove: quanto c’è ancora di nostro in un testo generato dall’AI? Cosa significa “autorialità” in un contenuto creato con il supporto di un modello linguistico?
L’immagine diventa testo. E viceversa.
Un altro elemento che sta generando entusiasmo – ma anche dibattito – è la generazione automatica di immagini. Basta descrivere una scena, un concetto, una suggestione, per ottenere un’immagine coerente, spesso bella, talvolta sorprendente. Qualche volta ancora mal riuscita. Gli strumenti si moltiplicano: DALL·E, Midjourney, Runway, Canva con AI integrata.
Quello che cambia è il modo di pensare per immagini: chi non ha competenze grafiche può improvvisamente prototipare un’idea visiva, raccontare un’emozione, costruire una narrazione illustrata. Un potere creativo straordinario, ma che richiede anche nuove responsabilità.
L’AI è un supporto (non un sostituto)
Chi lavora con i contenuti ha spesso una percezione precisa: l’AI alleggerisce, accelera, suggerisce. Non sostituisce la parte più profonda del lavoro creativo. Piuttosto, libera tempo ed energie da destinare a ciò che davvero conta: la rifinitura, la visione, la cura dei dettagli.
Bill Gates ha recentemente dichiarato che in futuro potremmo lavorare solo due o tre giorni a settimana grazie all’intelligenza artificiale. Non è una provocazione: è una prospettiva reale, che apre a nuovi equilibri tra vita e lavoro. Ma che pone anche questioni fondamentali su chi beneficerà davvero di questo cambiamento.
Siamo pronti ad affrontare le domande etiche?
Negli ultimi giorni si è tornato a parlare di regolamentazione. Dopo il lancio di Sora, il modello AI di OpenAI capace di generare video realistici da prompt testuali, il dibattito si è acceso: quali limiti porre? Come tutelare la creatività umana? Chi è responsabile dei contenuti generati?
Nel frattempo, il Parlamento Europeo ha approvato il primo AI Act della storia: una normativa che cerca di regolamentare l’intelligenza artificiale in base ai livelli di rischio. Un passo storico, che dimostra quanto la questione non sia più tecnica, ma profondamente sociale, culturale e politica.
Qualche consiglio pratico per usare l’AI (con testa)
- Non delegare tutto. Usa l’AI per sbloccare idee, ma non lasciare che faccia il lavoro al posto tuo.
- Chiediti se stai aggiungendo valore. L’autenticità non si genera in automatico.
- Sperimenta con immagini, testi, formati, ma mantieni sempre uno sguardo critico.
- Verifica tutto. L’AI può sbagliare, o peggio: inventare.
- Ricorda che è uno strumento. Potente, sì, ma sei tu a scegliere come usarlo.
In questo momento storico, più che temere l’intelligenza artificiale, dovremmo imparare a conoscerla davvero. E capire come integrarla nei nostri mestieri senza rinunciare alla nostra identità creativa.
Perché la vera sfida non è quella di produrre di più. Ma di creare meglio.