Quanto conoscete il Molise? E che idea ne avete? Mi piace giocare sull’ironia dello status regionale “il Molise non esiste”, perché è lì che si nascondono le vere sorprese di questa regione. Perché tra i tanti stereotipi che io stessa ho, c’è quello di pensarlo una territorio senza storia né arte. Per esempio, pochi sanno che il Molise ha siti archeologici di grande rilievo e che a Termoli, esiste un Museo d’arte contemporanea molto, molto interessante.
Il MACTE, Museo d’arte contemporanea di Termoli è un centro con grandi ambizioni che, onestamente, può permettersi di avere perché si fonda su una solida storia nel panorama dell’arte contemporanea. A volerlo è stata una Fondazione creata da una Holding privata insieme al comune di Termoli.
Se capitate a Termoli, perché finalmente avete deciso di visitare il Molise, una tappa al Macte in via Giappone è straconsigliata tra un bagno al mare che non ha nulla da invidiare alle altre spiagge dell’Adriatico e una mangiata di pesce freschissimo.
Quando, come e perché nasce il Macte
Il Macte è nato meno di due anni fa, nel febbraio 2019, con l’obiettivo di promuovere l’arte sul territorio in una maniera che ricorda i grandi musei urbani più che le piccole realtà paesane. L’edificio di 500 metri quadri era un vecchio mercato rionale ristrutturato che nel 2020 sarà ulteriormente ampliato. Il percorso espositivo è stato curato da Laura Cherubini, curatrice e storica dell’arte, che ha scelto di mostrare la collezione seguendo il percorso cronologico del Premio Termoli.
Il Macte, tuttavia, ha anche altri obiettivi e non si limita a mettere in mostra le opere di grande valore che la città di Termoli ha collezionato dagli anni ’50 ad oggi, intende continuare a evolvere, promuovere e divulgare l’arte attraverso la formazione e nuove iniziative. Non a caso a luglio è arrivata la nomina della nuova direttrice artistica Caterina Riva.
Cos’è il Premio Termoli (e chi lo ha vinto)
Ma la parte più bella e romantica del Macte è la collezione del Premio Termoli. Nato nel 1955 come premio riconosciuto ogni anno ad artisti contemporanei, nel corso degli anni è diventato un riconoscimento ambito, ma soprattutto capace di valorizzare la ricerca artistica dando risalto ai suoi protagonisti. Oggi la collezione, visibile sul sito, comprende 470 opere tra dipinti e sculture. Mentre il premio nel tempo è diventato biannuale.
Ho visitato il Macte a luglio del 2020, a un anno dalla sua apertura avvenuta dell’aprile 2019 e dopo il lockdown. Poteva non essere facile per un museo appena nato mantenere gli obiettivi dati dopo una pandemia che ha messo a dura prova tutto il comparto dell’arte e dello spettacolo. Ma guanti e mascherine non hanno fermato né me, né i turisti di Termoli che hanno visitato il Museo mai rimasto senza occhi che hanno apprezzato le opere degli artisti esposti. Tra questi le opere di Nanda Vigo, anche lei vincitrice del premio Termoli nel 1976 con Sintagma, l’opera realizzata con vetro, specchio e neon. Il Macte, infatti, si apre con le opere di Nada Vigo esposte nell’ampia sala iniziale che ripercorrono la sua ricerca artistica negli settanta. L’esposizione (visibile fino al 13 settembre) è composta da due gruppi di opere: i lavori definiti Trigger of the spase tra cui Sintagma, appunto, mentre il secondo gruppo composto dalla trilogia: Omaggio a Gio Ponti, Lucio Fontana e Piero Manzoni.
Poi l’esposizione del Museo prosegue con le opere del Premio Termoli attraverso la quale ammirare i lavori di Carla Accardi, Mario Schifano, Tommaso Binga, Dadamaino, Mirella Bentivoglio, Lea Contestabile, Marisa Busanel, Achille Perilli, Giulio Turcato, Giuseppe Uncini.
Tanta pittura che ricorda la ricerca artistica degli anni sessanta e settanta, fatta di colore materico, di geometrie precise, di denuncia e sperimentazione. E di come la tela sia ancora un mezzo potentissimo e attuale.
Per quanto insolito possa sembrare avere un Museo di questo tipo in una città non rinomata nell’ambito artistico, credo abbiano ragione i membri della commissione che hanno eletto la nuova direttrice, quando dicono che la dimensione più piccola e lenta del luogo facilita la riflessione, l’osservazione, un modo più intimo di sentire l’arte. Un esercizio per ascoltare e provare a comprendere prima di agire, a ripensare il rapporto dell’artista con la comunità, tra centro dell’arte e decentramento del territorio, tra natura e cultura.